Area archeologica di Palikè a Mineo


Area archeologica di Palikè a Mineo

Spitfire 1968 - CC3.0

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 SP181, Contrada Rocchicella - Mineo (CT)
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L’area archeologica di Palikè a Mineo è sede del santuario più importante della popolazione sicula.
L’area nell’antichità era sede del santuario dei fratelli Palici, figli di Zeus e della ninfa Talea.
Sono state individuate davanti la grotta che si apre ai piedi dell'altura strutture architettoniche, in gran parte attribuibili al santuario, e livelli antropizzati databili ad un periodo compreso tra il paleo-mesolitico e l’età sveva.
Il tempio sarebbe sorto sulle rive del lago di Naftia, specchio di acque sulfuree giallo-verdastre, dalle terribili esalazioni, dove si svolgevano alcuni riti tramite i quali i sacerdoti eseguivano vaticini.
L’oracolo dei Palici era considerato infatti il più importante della Sicilia, e le acque di Naftia si prestavano a rituali, giuramenti, prove. Oggi il lago è stato prosciugato, e i gas sfruttati industrialmente.
Intorno alla metà del secolo V a.C., probabilmente grazie all'iniziativa di Ducezio, capo siculo che avrebbe fissato la sede della sua lega di città sicule proprio presso il santuario del Palici, nell’area davanti la grotta viene realizzata una monumentale sistemazione a terrazze che comprende nel punto più alto un edificio per banchetti, hestiaterion, e nelle terrazze inferiori due portici con locali di servizio, stoai.
L'hestiaterion è a pianta rettangolare con quattro stanze laterali destinate ad ospitare i banchetti e tre stanze più piccole in fondo, tutte disposte attorno ad un ambiente centrale aperto sul lato meridionale attraverso un ingresso monumentale con gradino. Tracce di lavorazione ben visibili sui blocchi squadrati in pietra calcarea sono segno della presenza durante la costruzione di questo edificio di maestranze che conoscevano bene le tecniche dell'architettura greca.
Nella grande stanza centrale della stoà sono stati rinvenuti pentole e vasellame connessi alla preparazione dei banchetti che si svolgevano nell'hestiaterion e, in un settore delimitato da un muretto in mattoni crudi, un pozzetto votivo, bothros, contenente coppe a vernice nera e ossa animali.
I resti di Palikè presenti sull’altura delimitati da un muro di cinta in tecnica a telaio sono databili al IV sec. a.C. e appaiono come una frettolosa ricostruzione seguita ad una violenta distruzione di quella che doveva essere la Palikè di Ducezio della quale viene mantenuto l’impianto urbanistico regolare.

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